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COMISO E COMISANI

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La sommossa
del 1600

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AVVENIMENTI

In questa sezione vengono presentati avvenimenti, che ebbero grande importanza e notevoli ripercussioni sulla vita dei nostri antenati.

La sommossa del 1600


Al tempo del conte Baldassare III Naselli (dopo la morte detto Consolazione delle genti) e della moglie donna Antonella Saccano, nello stesso anno in cui il giovane Pietro Palazzo, futuro apostolo di Comiso, si recò a Roma per il Santo Giubileo, si verificò una sommossa contro dei fanti spagnoli di passaggio per Comiso, che avevano importunato le donne della famiglia Meli, presso la cui casa erano ospitati.

In questa pagina viene riportata integralmente la narrazione che del fatto fece Fulvio Stanganelli (can. Raffaele Flaccavento) nel libro VICENDE STORICHE DI COMISO.







La sommossa del 1600 contro gli spagnoli

Il 25 marzo di quell'anno (1600) transitavano adunque dalla nostra università (comune), per le loro evoluzioni militari, alquante compagnie di fanti spagnuoli, che, chi ha letto i Promessi Sposi, sa benissimo quali stinchi di santi erano. Fosse per ispirito d'antica, incoercibile antipatia verso la dominazione di Spagna, fosse per insofferenza delle poco dicevoli libertà, che le truppe si permettevano verso le donne delle famiglie, presso le quali avevano dritto di posata o alloggio nel passaggio da un paese all'altro; fatto sta che in quell'occasione i fratelli Baldassare e Mariano Meli ne fecero una solennissima, che commosse in loro favore tutta la città, e per la cosa in sé stessa, e perché appartenevano a una delle più distinte famiglie di Comiso, dove troviamo il primo, eletto poi nel 1606 a coprire il posto di Giurato.

Costoro in un momento d'esasperazione (originata quasi certamente da qualche affronto inflitto, da qualcuno di quella soldataglia che alloggiavano in casa, alle loro donne, tra le quali c'era una loro sorella, donna Fransina, ch'era un fiore di bellezza, resasi poi monaca nel novello monastero di Regina Coeli, col nome di suor Teresa di S. Francesco) costoro, dicevo, in un momento di legittima esasperazione, rompevano animosamente i freni, e si avventavano contro l'incauto offensore della santità del domicilio altrui, percotendolo di santa ragione, e percotendo altresì quanti dei suoi compagni osavano accorrere in suo aiuto.

Alle grida, al fracasso di quella zuffa, tutto il paese fu messo a rumore.
In pochi istanti, come se avesse obbedito a una parola d'ordine, una gran calca di gente gesticolante e imprecante, si slanciava con le armi più svariate nella mischia, che i fratelli Meli e i primi che si erano schierati al loro fianco, sostenevano eroicamente contro gli odiati caballeros. I quali, vistisi perduti, fra tanti nemici che li volevano assolutamente morti, diedero di piglio ai loro archibugi, e cominciarono a sparare all'impazzata.

Un urlo d'indignazione e di spavento scoppia a quell'atto insano, mentre la lotta diviene più generale.
I nostri edili, il governatore e il capitano giustiziere con i suoi scherani, accorrono per sedare quella sommossa, anima della quale, con i Meli, erano i «confederati» Matteo Monello, Filippo Martorana, Giuseppe Depasquale alias fava, Biagio Marancio, Domenico Liviaggi e Giovanni Visconti.
Rimproverano i più riottosi, pregano i più scalmanati, minacciano ai più violenti i castighi più gravi, qualora avessero continuato. Ma invano. Gli animi offesi per la tracotanza di quei soldatacci, non ascoltan nessuno, e la zuffa continua...

In un momento di sosta, alcuni militari riescono a mettere le mani addosso a Mariano Meli, e stanno per condurlo in castello. A tale uscita, il tumulto si riaccende più furibondo che mai. Si voleva assolutamente strappare il prigioniero dalle mani dei soldati; tuttavia costoro la vinsero, e cosi poterono riuscire a far tornare alla ragione i più turbolenti, i quali all'ultima ora, temendo di far la fine del Meli, se la battevano, e con loro, il resto.
Un tal avvenimento, di per sé stesso cotanto grave, naturalmente non poteva lasciar indifferente il governo vicereale, che infatti da Palermo spediva in tutta fretta, il cap. dott. Mario Mastrilli e Aurelio Ardito, procuratore fiscale della R. G. C., per inquirere e accertare le conseguenti responsabilità.

Da un esame minuzioso dei fatti, se ne dedusse che l'università tutta era complice dei principali rivoltosi. Sicché, mentre ventisei di costoro già assicurati alla giustizia, venivan processati e condannati, parte alla tortura, parte all'esilio e tutti alla confisca dei beni; ad essa università, in castigo della sua ribellione alla tanto benemerita nazione spagnuola, che credeva stoltamente non meritare questo e simili oltraggi, erano addebitate le spese del giudizio e un ammenda d'oltre 100 onze, che per manco di fondi, fu costretta a chiedere in prestito a donna Violante Li Gregni da Terranova.

In seguito parecchi di quei faziosi venivan prosciolti per insufficienza di prove; nondimeno Giuseppe De Pasquale, Mariano Meli, Matteo Monello e Francesco Bramante insieme al Mezzasalma, al Marancio e al Liviaggi eran condannati a diversi anni di prigione, e la nostra misera città, certo obbedendo ad alte influenze locali, per sovvenire ai bisogni di costoro, degli esiliati e dei molti fuggiaschi, fu obbligata a pregare i comuni di Terranova e Scicli, affinché le avessero mutuate delle somme, per le quali fece loro accendere ipoteca su le sue gabelle.






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Note
La 1^ immagine è un'iconografia della Comiso di fine '500, che si trova nella tela dell'Immacolata della chiesa di San Francesco.
Le 2^ immagine è una fotografia del can. Raffaele Flaccavento giovane.
Nella 3^ immagine si vede il sigillo dei Naselli.